
Gonartrosi Tricompartimentale: Come Trattarla?
La gonartrosi tricompartimentale, detta anche artrosi tricompartimentale o artropatia degenerativa tricompartimentale, come ci racconta il dott. Stefano Diprè del centro di fisioterapia a Milano, rappresenta una forma severa e avanzata di artrosi del ginocchio, caratterizzata dal coinvolgimento simultaneo dei tre compartimenti anatomici: mediale, laterale e femoro-rotuleo. Questa patologia cronica e degenerativa si manifesta attraverso la progressiva erosione della cartilagine articolare, con perdita graduale delle sue proprietà ammortizzanti e lubrificanti. Nel tempo, la degenerazione cartilaginea induce reazioni ossee compensatorie, come la formazione di osteofiti, proliferazioni ossee marginali tipiche degli stadi avanzati della malattia, che aggravano ulteriormente la sintomatologia dolorosa e riducono significativamente la funzionalità articolare. Il quadro clinico si accompagna spesso a infiammazione persistente, versamento articolare e limitazione del movimento, influendo profondamente sulla qualità della vita e sull’autonomia del paziente.
Segni e Sintomi della Gonartrosi Tricompartimentale
La gonartrosi tricompartimentale si manifesta con un quadro clinico complesso e invalidante, con sintomi che tendono a essere marcati e progressivamente ingravescenti. Il dolore rappresenta il segno clinico predominante: inizialmente intermittente e legato allo sforzo, tende con il tempo a diventare continuo, limitando significativamente le attività quotidiane. È tipicamente esacerbato dalla deambulazione prolungata, dalla salita o discesa delle scale e dal mantenimento della posizione eretta per lunghi periodi, ma può anche emergere dopo fasi di inattività, configurando un dolore da “start-up” (inizio movimento). Possiamo quindi avere un ginocchio gonfio, Dolore interno al ginocchio, dolore quando pieghi il ginocchio oppure un ginocchio che scricchiola.
La rigidità mattutina è un sintomo frequente, sebbene di durata solitamente inferiore ai 30 minuti, ma può ripresentarsi anche durante il giorno dopo inattività prolungata. La limitazione funzionale si esprime con una progressiva difficoltà nell’eseguire movimenti articolari completi, come accovacciarsi, inginocchiarsi o sedersi con le ginocchia flesse, e può portare a una zoppia antalgica o a un’alterazione della biomeccanica del cammino.
Il gonfiore articolare, dovuto spesso a sinovite reattiva o versamento, conferisce al ginocchio un aspetto tumefatto e teso, aggravando la sensazione di instabilità o pesantezza. Nei casi più avanzati, si possono percepire crepitii articolari — sensazione o rumore di “scricchiolio” — durante i movimenti di flessione-estensione, dovuti al contatto irregolare tra superfici articolari deformate o alla presenza di osteofiti.
Infine, nei quadri più severi, il dolore può estendersi oltre le attività motorie, disturbando il riposo notturno e contribuendo a un deterioramento generalizzato della qualità del sonno e del benessere psicofisico del paziente.
Cause e Fattori di Rischio della Gonartrosi Tricompartimentale
La gonartrosi tricompartimentale è il risultato di un’interazione multifattoriale tra predisposizione individuale e sollecitazioni meccaniche croniche che, nel tempo, superano la capacità di adattamento e rigenerazione dell’articolazione del ginocchio. È una patologia a lenta evoluzione, la cui origine va ricercata in un intreccio di fattori sistemici, strutturali e funzionali.
L’invecchiamento rappresenta il principale fattore predisponente: con l’età si assiste a una progressiva riduzione della vitalità condrocitaria, a una minore capacità di sintesi della matrice extracellulare e a un incremento dei processi degenerativi all’interno della cartilagine articolare. Tuttavia, l’età da sola non basta a spiegare l’insorgenza della malattia: esistono anziani con cartilagine ben conservata e adulti relativamente giovani con forme avanzate di artrosi. Ciò suggerisce un ruolo importante della predisposizione genetica e familiare, legata a polimorfismi che influenzano la qualità del collagene, l’integrità della matrice cartilaginea e la risposta infiammatoria.
Il sovrappeso e l’obesità giocano un ruolo cruciale, sia attraverso un sovraccarico meccanico diretto sull’articolazione tibio-femorale e femoro-rotulea, sia per il ruolo delle adipocitochine infiammatorie (come leptina, resistina, TNF-α) secrete dal tessuto adiposo, che amplificano lo stato infiammatorio cronico e favoriscono la degradazione della cartilagine.
I traumi articolari pregressi, in particolare fratture intra-articolari, lesioni meniscali o legamentose (es. LCA), sono fattori scatenanti noti di degenerazione articolare secondaria, spesso accelerata e localizzata in uno o più compartimenti. Queste condizioni alterano l’equilibrio biomeccanico del ginocchio, predisponendolo a un’usura precoce.
Anche disallineamenti anatomici, come il varismo o il valgismo del ginocchio, modificano la distribuzione dei carichi sulle superfici articolari, determinando una compressione asimmetrica che, nel tempo, può estendersi a tutti i compartimenti. A ciò si aggiungono squilibri muscolari cronici, soprattutto tra muscolatura anteriore e posteriore della coscia, e alterazioni della propriocezione e del controllo neuromuscolare, che contribuiscono a un uso disfunzionale e reiterato dell’articolazione.
Infine, anche alcune professioni o stili di vita con carichi ripetitivi o posture protratte in flessione (es. accovacciamento frequente, lavori manuali pesanti, sport ad alto impatto) possono rappresentare un fattore di rischio ambientale rilevante, soprattutto se associati ad altri elementi predisponenti.
Diagnosi della Gonartrosi Tricompartimentale
La diagnosi di artrosi tricompartimentale richiede un percorso strutturato che parte da una valutazione clinica approfondita e si completa attraverso indagini strumentali mirate. In prima battuta, è fondamentale raccogliere una storia clinica dettagliata, indagando l’evoluzione del dolore, la sua localizzazione, la presenza di rigidità, gonfiore e limitazioni funzionali nella vita quotidiana. Il clinico presta particolare attenzione all’eventuale presenza di traumi pregressi, interventi chirurgici al ginocchio, familiarità per artrosi, abitudini lavorative o sportive che possano aver esposto l’articolazione a sovraccarichi ripetuti.
L’esame obiettivo permette di cogliere diversi elementi rilevanti: la presenza di deviazioni assiali (come varismo o valgismo), tumefazioni articolari, crepitii durante i movimenti, deficit nel range di movimento attivo e passivo. La palpazione può rivelare dolorabilità localizzata nei diversi compartimenti, mentre l’osservazione dinamica del cammino e di movimenti funzionali consente di cogliere alterazioni biomeccaniche legate al compenso del dolore o alla perdita di mobilità.
Una volta raccolti questi elementi, la radiografia standard diventa lo strumento di riferimento per la conferma diagnostica. Le proiezioni più utilizzate sono l’anteroposteriore in carico, la laterale e quella assiale della rotula. Tali immagini permettono di osservare con precisione la riduzione dello spazio articolare nei tre compartimenti del ginocchio, la formazione di osteofiti marginali, la sclerosi dell’osso subcondrale e, nei casi più avanzati, la presenza di geodi e deviazioni assiali strutturate. La radiografia consente dunque di valutare l’estensione e la gravità della degenerazione articolare, oltre a fornire indicazioni utili per eventuali strategie terapeutiche future.
Nei casi in cui la diagnosi non sia del tutto chiara — ad esempio in fasi iniziali, in presenza di dolore atipico o per escludere patologie concomitanti — si può ricorrere alla risonanza magnetica. Questo esame offre una visione dettagliata non solo della cartilagine articolare, ma anche dei menischi, dei legamenti, della membrana sinoviale e dei tessuti molli periarticolari. È particolarmente utile nei pazienti giovani, nei quali le alterazioni radiografiche possono essere ancora assenti, ma i sintomi clinici già presenti.
In alcuni casi selezionati, possono essere richiesti esami complementari come l’ecografia, utile per visualizzare versamenti o sinoviti attive, oppure esami di laboratorio per escludere forme infiammatorie sistemiche. La diagnosi differenziale, infatti, deve sempre prendere in considerazione altre possibili fonti di dolore al ginocchio, come sindromi femoro-rotulee isolate, meniscopatie, necrosi avascolari, o dolori riferiti da anca o colonna.
In definitiva, la diagnosi di gonartrosi tricompartimentale è il frutto di una correlazione tra i dati clinici, funzionali e radiologici. È solo attraverso questa integrazione che è possibile comprendere a fondo la natura della patologia, valutarne l’impatto sulla funzione articolare e definire un percorso terapeutico adeguato e individualizzato.
Trattamento Nella Gonartrosi Tricompartimentale
La gestione conservativa della artrosi tricompartimentale non è un semplice preludio al trattamento chirurgico, ma un percorso terapeutico a sé stante, spesso in grado di migliorare sensibilmente i sintomi, rallentare la progressione del danno articolare e restituire al paziente una buona qualità di vita. In questo scenario, la fisioterapia rappresenta non solo uno degli strumenti più efficaci, ma anche una vera e propria filosofia di intervento centrata sulla funzione, sulla consapevolezza e sulla gradualità. Il paziente non viene trattato come un ginocchio degenerato da “riparare”, ma come una persona da guidare in un processo di adattamento attivo, informato e personalizzato.
Il trattamento conservativo si fonda su tre pilastri principali: l’esercizio terapeutico, l’intervento manuale e strumentale, e l’educazione al movimento e allo stile di vita. Nessuno di questi può essere considerato sufficiente da solo: è nell’integrazione sapiente di queste componenti che la fisioterapia trova la sua massima espressione.
1. Esercizio Terapeutico: Recuperare forza, Controllo e Autonomia
Il cuore dell’intervento fisioterapico è costituito da un programma di esercizio terapeutico strutturato, adattato alle condizioni specifiche del paziente e costruito con progressioni individualizzate. L’obiettivo non è semplicemente “rinforzare” il ginocchio, ma rieducare l’intero arto inferiore al movimento, alla gestione del carico e al controllo motorio.
Il quadricipite femorale è spesso ipotrofico e inibito nei pazienti con gonartrosi, in particolare il vasto mediale obliquo. Il suo rafforzamento è prioritario per garantire la stabilità anteriore del ginocchio, contenere il dolore e migliorare la biomeccanica del passo. Gli esercizi possono iniziare a catena cinetica aperta (ad esempio estensioni di ginocchio con elastico o con resistenza progressiva) per poi evolvere verso esercizi a catena cinetica chiusa, come squat parziali, step-up e affondi assistiti, sempre sotto controllo.
Gli ischio-crurali, il grande gluteo e i muscoli della loggia posteriore non devono essere trascurati: svolgono un ruolo chiave nella stabilizzazione posteriore e laterale del ginocchio e contribuiscono a una distribuzione più efficiente dei carichi durante le attività in carico.
Gli esercizi di stretching sono parte integrante del programma e mirano a ridurre la rigidità articolare, a prevenire retrazioni capsulo-legamentose e a migliorare la fluidità del movimento. Le catene muscolari posteriori (in particolare ischiocrurali e gastrocnemi) vengono spesso coinvolte, così come la fascia lata e il tensore della fascia lata nei soggetti con pattern di sovraccarico laterale.
La propriocezione e il controllo posturale risultano frequentemente alterati nei pazienti con artrosi, sia per il danno meccanico che per l’evitamento del carico. L’integrazione di esercizi su superfici instabili, in monopodalico, con perturbazioni visive o tattili, aiuta a rieducare la capacità di reagire agli stimoli esterni e ridurre il rischio di cadute. Tali esercizi stimolano anche il sistema vestibolare e somatosensoriale, facilitando una riorganizzazione del controllo motorio globale.
La rieducazione funzionale rappresenta la fase finale del percorso: consiste nel ricondizionare il paziente a movimenti specifici della vita quotidiana (alzarsi da una sedia, salire le scale, inginocchiarsi, camminare su superfici irregolari) attraverso esercizi mirati e ripetuti. Lo scopo è duplice: favorire l’autonomia e prevenire compensi posturali o motori che potrebbero compromettere il recupero o generare nuove problematiche.
2. Terapia manuale: Ridurre il Dolore, facilitare il movimento
Quando il dolore è particolarmente intenso o la rigidità marcata, l’intervento manuale può svolgere un ruolo importante nel ridurre le limitazioni iniziali e favorire l’adesione al programma attivo.
Le mobilizzazioni articolari dolci, eseguite in modo oscillatorio o con tecniche di trazione e scivolamento secondo il concetto di Kaltenborn o Maitland, possono contribuire a migliorare la congruenza articolare e stimolare la produzione di liquido sinoviale, facilitando la lubrificazione intra-articolare.
Le tecniche miofasciali e il massaggio decontratturante permettono di ridurre le tensioni muscolari secondarie, frequenti nei pazienti con dolore cronico e postura antalgica. In particolare, la muscolatura anteriore e posteriore della coscia, così come la regione lombopelvica, tendono spesso ad assumere schemi di contrazione alterati che alimentano un circolo vizioso di dolore e compenso.
Tutti questi strumenti devono essere considerati come facilitatori, da utilizzare in modo mirato e temporaneo, al servizio di un processo attivo e partecipato.
3. Educazione terapeutica e Stile di Vita
Un trattamento conservativo efficace nella gonartrosi tricompartimentale non può prescindere da un percorso di educazione terapeutica strutturata. Informare, motivare e rendere il paziente partecipe del proprio percorso è tanto importante quanto l’intervento tecnico.
La gestione del peso corporeo è un elemento imprescindibile: una riduzione anche modesta del carico ponderale può abbassare significativamente lo stress meccanico sull’articolazione del ginocchio, riducendo il dolore e rallentando la degenerazione. È essenziale affrontare questo aspetto con empatia e competenza, eventualmente coinvolgendo un nutrizionista.
La promozione dell’attività fisica regolare è un altro caposaldo. Camminare su terreni piani, pedalare su cyclette con resistenza moderata, praticare idrokinesiterapia o semplici esercizi in scarico a casa: tutto concorre a mantenere attivo il metabolismo articolare e muscolare, a patto che venga rispettata la soglia del dolore e monitorata la risposta al carico.
Gli adattamenti ergonomici e le strategie protettive nelle attività quotidiane aiutano a prevenire sovraccarichi inutili. Usare sedute rialzate, evitare flessioni profonde del ginocchio, distribuire i compiti domestici nel tempo, impiegare ausili se necessario: ogni gesto può diventare terapeutico, se consapevole.
Infine, è utile integrare un approccio psicologico o educativo più ampio, laddove la cronicità della patologia abbia già avuto un impatto sulla qualità della vita, sul tono dell’umore o sull’immagine corporea del paziente.
Trattamento Chirurgico nella Gonartrosi Tricompartimentale
Quando la gonartrosi tricompartimentale raggiunge uno stadio avanzato e il trattamento conservativo, pur ben condotto e prolungato nel tempo, non riesce più a contenere il dolore o a garantire un livello accettabile di funzionalità, l’intervento chirurgico diventa una possibilità concreta da considerare. La decisione di operare non si basa esclusivamente sull’evidenza radiografica della degenerazione articolare, ma sulla combinazione tra il danno strutturale e l’impatto che esso ha sulla vita quotidiana del paziente: difficoltà a camminare, perdita di autonomia, insonnia per dolore notturno, compromissione delle attività lavorative o sociali.
L’intervento chirurgico di elezione in presenza di gonartrosi tricompartimentale è la protesi totale di ginocchio. Si tratta di una procedura che prevede la sostituzione delle superfici articolari danneggiate – femorale, tibiale e talvolta rotulea – con componenti artificiali in lega metallica e polietilene ad alta densità, progettati per riprodurre la biomeccanica del ginocchio naturale e garantire un’articolazione stabile, mobile e indolore.
Il fine dell’intervento non è semplicemente “sostituire” un’articolazione usurata, ma ricostruire una cinematica articolare funzionale, che consenta al paziente di riprendere una vita attiva e soddisfacente, pur con le ovvie limitazioni imposte da una protesi meccanica.
Tra le principali indicazioni alla protesizzazione del ginocchio troviamo:
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Dolore cronico severo e persistente, non controllabile con farmaci o fisioterapia;
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Limitazione funzionale marcata, con difficoltà nelle attività quotidiane (camminare, salire le scale, alzarsi da seduti);
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Deformità articolari evidenti (varismo o valgismo strutturato);
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Riduzione del range articolare sotto soglie funzionali;
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Fallimento documentato del trattamento conservativo per un periodo adeguato (almeno 6-12 mesi);
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Età biologica compatibile con i benefici attesi dall’intervento, considerando sia pazienti anziani attivi che adulti più giovani con compromissione severa.
Le protesi totali di ginocchio possono variare in termini di design, materiali e livello di vincolo meccanico. Le più utilizzate oggi sono:
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Protesi a conservazione del legamento crociato posteriore (CR), che rispettano la dinamica fisiologica del ginocchio;
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Protesi posterior-stabilizzate (PS), con meccanismi di compensazione della stabilità per ginocchi gravemente instabili;
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Protesi semi-vincolate o vincolate, utilizzate nei casi più complessi con gravi deformità o instabilità.
I materiali più comuni includono leghe di titanio o cobalto-cromo per le componenti ossee e polietilene reticolato per l’inserto articolare, spesso con trattamenti che migliorano la resistenza all’usura e la longevità dell’impianto.
Riabilitazione post-operatoria
L’efficacia dell’intervento chirurgico è fortemente dipendente da una riabilitazione precoce, strutturata e intensiva. Già a poche ore dall’intervento, il paziente viene incoraggiato alla mobilizzazione passiva e attiva assistita. L’obiettivo, nelle prime settimane, è quello di:
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Prevenire rigidità articolare e retrazioni capsulo-legamentose;
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Recuperare progressivamente l’estensione completa e una flessione funzionale (fino a 100–120°);
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Rinforzare la muscolatura del quadricipite e del gluteo medio;
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Rieducare al carico e alla deambulazione autonoma, inizialmente con ausili, poi senza.
La fisioterapia post-protesica deve essere rigorosa, ma rispettosa del dolore e dei tempi biologici di guarigione. La durata complessiva del percorso riabilitativo può variare tra le 8 e le 16 settimane, con eventuali fasi di mantenimento e adattamento alle attività della vita quotidiana.
La protesi totale di ginocchio è una delle procedure ortopediche con i migliori risultati in termini di riduzione del dolore e miglioramento della qualità di vita. La maggior parte dei pazienti riferisce una marcata riduzione del dolore entro i primi 3 mesi e un recupero funzionale significativo nei primi 6–12 mesi. Tuttavia, è essenziale che il paziente sia informato in modo realistico: la protesi non restituisce un ginocchio “normale”, ma uno strumento funzionale e duraturo, che necessita cura, movimento regolare e controlli periodici.
In mani esperte e con adeguata riabilitazione, la longevità degli impianti supera oggi i 15–20 anni in un’alta percentuale di casi, rendendo l’intervento una soluzione efficace e affidabile, soprattutto se inserita in un percorso terapeutico globale e ben pianificato.
Conclusioni
La gonartrosi tricompartimentale rappresenta una sfida clinica articolata, che richiede una visione terapeutica ampia, personalizzata e interdisciplinare. Sebbene la natura degenerativa della patologia imponga dei limiti strutturali difficilmente reversibili, è possibile agire in modo significativo sulla sintomatologia, sulla funzione e sulla qualità di vita del paziente attraverso un trattamento conservativo ben strutturato.
In questo contesto, la fisioterapia non è un’opzione accessoria, ma il cardine della presa in carico. Gli esercizi terapeutici mirati, la terapia manuale e soprattutto l’educazione del paziente rappresentano strumenti concreti per restituire movimento, contenere il dolore e, soprattutto, restituire al paziente un senso di controllo sul proprio corpo e sul proprio percorso. Solo quando questi strumenti non risultano più sufficienti, l’intervento chirurgico trova indicazione, completando un percorso che deve sempre essere guidato da buon senso clinico, ascolto attivo e rispetto della soggettività.
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Bibliografia
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