
Frattura Pertrocanterica: Diagnosi, Trattamento e Recupero
La frattura pertrocanterica rappresenta una delle lesioni ossee più comuni, in particolare tra la popolazione anziana, ed è considerata una delle principali cause di disabilità motoria in questa fascia di età. La sua elevata incidenza è strettamente legata all’invecchiamento e alle alterazioni strutturali dell’osso, tra cui la riduzione della densità minerale e la compromissione dell’architettura trabecolare, fenomeni tipici dell’osteoporosi. Questa condizione rende lo scheletro più fragile e suscettibile a fratture anche a seguito di traumi a bassa energia, come una semplice caduta in casa o un movimento improvviso. La perdita di massa muscolare, il deterioramento dell’equilibrio e la ridotta coordinazione motoria, fattori comuni negli anziani, contribuiscono ulteriormente ad aumentare il rischio di cadute e, di conseguenza, di fratture ossee.
Dal punto di vista anatomico, la frattura pertrocanterica del femore coinvolge il femore nella sua porzione compresa tra il trocantere maggiore e il trocantere minore, due strutture fondamentali per la biomeccanica dell’anca e per la trasmissione delle forze tra il tronco e l’arto inferiore. A seconda della tipologia di frattura, la stabilità dell’arto può risultare gravemente compromessa, con possibili conseguenze sulla prognosi e sul percorso terapeutico.
Cause della Frattura Pertrocanterica
Il meccanismo di lesione che porta alla frattura pertrocanterica varia significativamente in base all’età e alle condizioni del paziente, riflettendo differenze nella qualità ossea e nella dinamica del trauma subito.
Nei pazienti anziani, la principale causa di questa frattura è rappresentata da traumi a bassa energia, tipicamente una caduta accidentale sul fianco. Questo evento, spesso dovuto a una perdita di equilibrio o a deficit posturali legati all’invecchiamento, è aggravato dalla presenza di osteoporosi, una condizione che riduce la densità minerale e la resistenza meccanica dell’osso. In questi casi, anche un trauma minimo può risultare sufficiente a determinare una frattura, soprattutto se sono presenti altri fattori predisponenti come sarcopenia, disturbi neurologici o patologie che alterano la coordinazione motoria.
Nei soggetti più giovani, invece, la frattura pertrocanterica è un evento molto meno frequente e si verifica generalmente in seguito a traumi ad alta energia, come incidenti stradali, cadute da altezze elevate o traumi sportivi. In questi contesti, l’osso, che normalmente possiede una maggiore resistenza strutturale, è sottoposto a forze di impatto estremamente elevate che superano la sua capacità di assorbire il carico senza fratturarsi. In questi casi, le fratture risultano spesso più complesse, caratterizzate da una maggiore frammentazione e talvolta dall’associazione con altre lesioni ossee o dei tessuti molli circostanti.
Classificazione della Frattura Pertrocanterica
Le fratture pertrocanteriche del femore vengono classificate principalmente in base a due criteri fondamentali: la stabilità della frattura e la morfologia della linea di frattura. Questi elementi sono cruciali per determinare il trattamento più appropriato e la prognosi del paziente.
- Fratture Stabili
Le fratture stabili sono caratterizzate da una linea di frattura semplice, che non compromette gravemente la continuità strutturale del femore. In questi casi, i frammenti ossei rimangono relativamente allineati, senza una significativa perdita di contatto tra le superfici fratturate. Questo tipo di frattura permette un trattamento chirurgico più semplice e una riabilitazione più rapida, con un recupero funzionale generalmente favorevole. La stabilità dell’osso consente di ottenere una buona consolidazione della frattura senza la necessità di interventi particolarmente invasivi. - Fratture Instabili
Le fratture instabili, al contrario, presentano una scomposizione maggiore e una compromissione significativa dell’integrità strutturale del femore. In questa categoria rientrano le fratture comminute (con frammenti multipli) e quelle in cui la linea di frattura determina una perdita di continuità ossea tale da rendere la stabilizzazione più complessa. Un esempio di frattura instabile è quella con interessamento della corticale posteriore o con il distacco del piccolo trocantere, condizioni che alterano la biomeccanica del femore e richiedono strategie di fissazione più avanzate. Il recupero da una frattura instabile è generalmente più lungo e richiede un approccio terapeutico personalizzato per ridurre il rischio di complicanze. - Classificazione di Evans e AO
Per una valutazione più dettagliata, vengono spesso utilizzate due classificazioni specifiche:- Classificazione di Evans, che suddivide le fratture in base alla loro stabilità e alla possibilità di riduzione chiusa;
- Classificazione AO, che le distingue in tre grandi gruppi:
- 31-A1 (fratture semplici, a due frammenti, considerate stabili),
- 31-A2 (fratture multiframmentarie, ma con possibile stabilizzazione),
- 31-A3 (fratture instabili con scomposizione maggiore, spesso associate a traumi ad alta energia).
La classificazione della frattura è essenziale per guidare il trattamento chirurgico e la gestione post-operatoria, influenzando la scelta della tecnica di fissazione e il protocollo riabilitativo per ottimizzare il recupero funzionale del paziente.
Diagnosi della Frattura Pertrocanterica
La diagnosi della frattura pertrocanterica si basa su un’accurata valutazione clinica e sull’impiego di tecniche di imaging per confermare la presenza e la tipologia della lesione. Riconoscere tempestivamente questa frattura è fondamentale per avviare il trattamento più adeguato e prevenire complicanze.
Segni e Sintomi Clinici
Il primo segnale di una frattura pertrocanterica è il dolore acuto e localizzato nella regione dell’anca, che si manifesta immediatamente dopo il trauma. Il dolore è spesso intenso e si accentua con qualsiasi tentativo di movimento dell’arto colpito, rendendo impossibile la deambulazione. A seconda della gravità della frattura, possono presentarsi ulteriori segni clinici caratteristici, tra cui:
- Incapacità di sollevare o muovere la gamba: il paziente non riesce a flettere o sollevare l’arto senza provare un dolore intenso.
- Accorciamento e rotazione esterna dell’arto inferiore: la frattura può provocare una trazione anomala dei muscoli che determinano la tipica deformità della gamba.
- Edema e ematoma nella zona dell’anca e della coscia: il sanguinamento interno conseguente alla frattura può causare gonfiore e lividi visibili, segnalando un’estesa compromissione dei tessuti.
- Dolore a riposo e alla palpazione: anche senza movimento, il dolore persiste e può aumentare con la pressione sulla zona interessata.
Diagnosi Strumentale
Per confermare la diagnosi e ottenere informazioni dettagliate sulla frattura, vengono utilizzate diverse metodologie di imaging, ognuna con specifiche indicazioni:
- Radiografia (RX) del bacino e del femore
La radiografia è l’esame di prima scelta per diagnosticare la frattura pertrocanterica. Viene eseguita in due proiezioni principali:- Antero-posteriore (AP) del bacino: consente di visualizzare la frattura rispetto all’anatomia complessiva dell’anca.
- Laterale dell’anca: utile per valutare il grado di scomposizione e la posizione dei frammenti ossei.
La RX permette di identificare con precisione la linea di frattura, la presenza di eventuali frammenti ossei e la stabilità complessiva della struttura.
- Tomografia Computerizzata (TC)
Nei casi in cui la frattura risulti particolarmente complessa o la radiografia non fornisca un’immagine chiara della lesione, si ricorre alla tomografia computerizzata. La TC offre una visione tridimensionale della frattura, permettendo di valutare con maggiore precisione:- Il grado di comminuzione (presenza di più frammenti ossei).
- L’integrità della corticale posteriore e della colonna mediale, fondamentali per la stabilità dell’osso.
- La relazione tra i frammenti ossei, utile per pianificare l’intervento chirurgico.
- Risonanza Magnetica (RM)
La risonanza magnetica viene utilizzata principalmente nei casi in cui si sospetti una frattura occulta, non visibile alla radiografia, o per valutare il coinvolgimento dei tessuti molli circostanti, come muscoli, legamenti e strutture vascolari. È particolarmente indicata quando il paziente presenta sintomi tipici di frattura ma l’RX risulta negativa. - Ecografia
Sebbene meno utilizzata rispetto agli altri esami, l’ecografia può essere impiegata per identificare versamenti articolari e raccolte ematiche, soprattutto nei casi di fratture non dislocate o nei pazienti in cui l’uso di RX o TC sia controindicato (ad esempio in gravidanza).
Diagnosi Differenziale della Frattura Pertrocanterica
Alcune condizioni possono presentare sintomi simili a quelli della frattura pertrocanterica, rendendo necessaria un’attenta diagnosi differenziale. Tra le principali patologie da escludere troviamo:
- Fratture del collo femorale: a differenza delle fratture pertrocanteriche, coinvolgono la porzione più prossimale del femore e presentano una prognosi e un trattamento diversi.
- Coxartrosi acuta: può manifestarsi con dolore improvviso e difficoltà nella deambulazione, ma senza trauma evidente né segni radiografici di frattura.
- Borsite trocanterica: causa dolore laterale all’anca, ma non è associata a deformità dell’arto né a limitazioni di movimento così severe.
- Lussazione dell’anca: si verifica spesso in seguito a traumi ad alta energia e può presentarsi con sintomi simili alla frattura, ma è generalmente associata a un’anamnesi traumatica più evidente.
La diagnosi della frattura pertrocanterica si basa su una combinazione di anamnesi, esame clinico e imaging strumentale. L’uso della radiografia come primo step diagnostico consente di identificare la maggior parte delle fratture, mentre la TC e la RM sono riservate ai casi più complessi o dubbi. Un’identificazione precoce e accurata della frattura è fondamentale per impostare un trattamento adeguato e garantire il miglior recupero possibile per il paziente.
Trattamento e Riabilitazione delle Fratture Pertrocanteriche
Il trattamento della frattura pertrocanterica dipende da diversi fattori, tra cui l’età del paziente, lo stato generale di salute, la stabilità della frattura e la presenza di eventuali comorbilità. Sebbene la chirurgia sia considerata il gold standard nella gestione di questa frattura, in alcuni casi selezionati può essere necessario un approccio conservativo. Dopo il trattamento, la riabilitazione gioca un ruolo fondamentale per il recupero della funzionalità e per la prevenzione di complicanze a lungo termine.
Approccio Conservativo
L’opzione del trattamento conservativo viene presa in considerazione solo in rari casi, solitamente quando il paziente presenta condizioni cliniche severe che controindicano l’intervento chirurgico, come:
- Gravi patologie cardiovascolari o respiratorie che renderebbero l’anestesia troppo rischiosa.
- Pazienti in condizioni terminali in cui l’obiettivo principale è il controllo del dolore e la qualità della vita.
- Pazienti con demenza avanzata o altre condizioni neurologiche severe, per i quali la gestione post-operatoria risulterebbe particolarmente complessa.
Il trattamento conservativo prevede:
- Riposo a letto con il controllo del dolore tramite analgesici, anti-infiammatori e, se necessario, oppioidi.
- Posizionamento dell’arto in trazione cutanea o scheletrica, per ridurre il dolore e prevenire la scomposizione della frattura.
- Mobilizzazione assistita precoce, per prevenire complicanze dovute all’allettamento prolungato, come trombosi venosa profonda, polmonite e piaghe da decubito.
- Terapia anticoagulante, per ridurre il rischio di eventi tromboembolici.
L’approccio conservativo, tuttavia, è associato a un’elevata mortalità e a un peggioramento della qualità di vita, motivo per cui viene riservato solo a pazienti in condizioni critiche.
Trattamento Chirurgico
Nella maggior parte dei casi, la chirurgia rappresenta la soluzione più indicata per garantire la stabilizzazione della frattura e permettere un rapido recupero della mobilità. L’intervento viene generalmente eseguito entro 24-48 ore dal ricovero, poiché un ritardo chirurgico oltre le 48 ore è associato a un aumento della mortalità e delle complicanze.
Le principali tecniche utilizzate per il trattamento delle fratture pertrocanteriche sono:
- Chiodo Endomidollare
- È la tecnica più utilizzata e prevede l’inserimento di un chiodo all’interno del canale midollare del femore, garantendo una fissazione interna stabile.
- Vantaggi:
- Permette una migliore stabilizzazione anche nelle fratture instabili.
- Riduce il rischio di fallimento dell’impianto rispetto ad altre tecniche.
- Consente una riabilitazione più rapida.
- Indicazioni: fratture stabili e instabili, anche con comminuzione.
- Placca con viti di tipo DHS (Dynamic Hip Screw)
- Si tratta di una placca metallica fissata lateralmente al femore con viti, che permette il movimento relativo tra i frammenti ossei favorendo la guarigione.
- Vantaggi:
- Tecnica consolidata con buoni risultati nelle fratture stabili.
- Svantaggi:
- Minore efficacia nelle fratture instabili, con rischio di scomposizione secondaria.
- Indicazioni: fratture stabili senza comminuzione.
- Artroplastica (Protesi d’Anca)
- Viene impiegata nei casi in cui la frattura sia particolarmente grave e non vi sia possibilità di fissazione efficace.
- Indicata nei pazienti con:
- Grave osteoporosi.
- Preesistente coxartrosi avanzata.
- Fratture molto comminute con coinvolgimento della testa femorale.
Dopo l’intervento, è fondamentale un attento monitoraggio post-operatorio per prevenire infezioni, tromboembolismo e altre complicanze.
Fisioterapia post intervento per Frattura Pertrocanterica
La riabilitazione post-chirurgica è una fase cruciale per il recupero della funzionalità dell’arto e per la prevenzione di complicanze legate all’allettamento prolungato.
Fasi del Percorso Riabilitativo
- Fase Acuta (Prime 24-48 ore post-operatorie)
- Controllo del dolore con analgesici e terapia antinfiammatoria.
- Mobilizzazione precoce, spesso con l’aiuto di fisioterapisti, per prevenire rigidità articolare e complicanze tromboemboliche.
- Inizio della seduta in poltrona, se possibile, e movimenti assistiti dell’arto operato.
- Monitoraggio della ferita chirurgica per prevenire infezioni.
- Fase Subacuta (Prima settimana post-operatoria)
- Inizio della deambulazione con ausili (deambulatore o bastoni canadesi).
- Esercizi di rinforzo muscolare per il quadricipite e i muscoli dell’anca.
- Esercizi di flesso-estensione del ginocchio per prevenire l’atrofia muscolare.
- Educazione posturale per ridurre il rischio di cadute.
- Fase di Recupero Funzionale (Dopo 2-6 settimane)
- Progressivo incremento del carico sull’arto operato, secondo indicazione del chirurgo.
- Fisioterapia avanzata con esercizi propriocettivi e di equilibrio.
- Esercizi per il recupero della coordinazione e della forza muscolare.
- Controllo della postura e miglioramento del cammino con l’obiettivo di eliminare gradualmente gli ausili.
- Fase di Mantenimento (Dopo 3-6 mesi)
- Ripresa graduale delle normali attività quotidiane.
- Programmi di attività fisica adattata per mantenere la forza e la mobilità.
- Prevenzione delle cadute con strategie di miglioramento dell’equilibrio e della propriocezione.
Prevenzione delle Complicanze post Frattura Pertrocanterica
Un aspetto cruciale della riabilitazione post-operatoria è la prevenzione delle possibili complicanze, che possono compromettere il recupero del paziente e aumentare il rischio di ulteriori problemi di salute. Tra le complicanze più comuni vi è la trombosi venosa profonda (TVP), che può portare a gravi conseguenze come l’embolia polmonare. Per ridurre questo rischio, vengono somministrati farmaci anticoagulanti e si incoraggia la mobilizzazione precoce, che aiuta a mantenere una buona circolazione sanguigna e a prevenire la formazione di coaguli.
Un’altra problematica da tenere sotto controllo è il rischio di infezioni della ferita chirurgica, che può rallentare il processo di guarigione e, nei casi più gravi, richiedere ulteriori interventi. Per questo motivo, è fondamentale un’accurata gestione dell’igiene della ferita e l’impiego di antibiotici in fase post-operatoria, al fine di prevenire infezioni batteriche.
Inoltre, la rigidità articolare e la perdita di forza muscolare rappresentano un ostacolo significativo al recupero funzionale. Per evitarle, è essenziale seguire un programma riabilitativo mirato, con esercizi specifici volti a preservare la mobilità dell’anca e a rafforzare la muscolatura dell’arto operato.
Infine, un altro aspetto da considerare è il rischio di nuove cadute, che potrebbe portare a una seconda frattura con conseguenze ancora più gravi. Per ridurre questa eventualità, il paziente viene sottoposto a un training specifico per migliorare l’equilibrio e la propriocezione, oltre a ricevere indicazioni pratiche per modificare l’ambiente domestico e ridurre la presenza di ostacoli che potrebbero favorire nuove cadute.
Conclusione
La frattura pertrocanterica rappresenta una sfida significativa per la salute, soprattutto negli anziani, ma grazie ai progressi nella diagnosi, nel trattamento chirurgico e nella riabilitazione, è possibile ottenere un recupero soddisfacente. L’importanza della prevenzione non deve essere sottovalutata, poiché ridurre il rischio di fratture significa garantire una migliore qualità di vita e una maggiore indipendenza nelle attività quotidiane.
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Bibliografia
- Brunner LC, Eshilian-Oates L, Kuo TY. Hip fractures in adults. Am Fam Physician. 2003 Feb 1;67(3):537-42.